domenica 20 aprile 2014

insulti via Facebook costituiscono diffamazione anche se anonimi

Niente di nuovo nella sostanza. Basta che un soggetto sia identificabile in base alle informazioni in possesso affinché nn possa ritenersi anonimo. Con ragionamento simile la Cassazione ha deciso in merito ad un in caso di diffamazione on line.
Di questo e altro parlerò nel mio prossimo seminario del 28 maggio a Milano.

lunedì 7 aprile 2014

Offese a mezzo Facebook. E' diffamazione m non a mezzo stampa

 Leggi su Assodigitale 

Per ragioni di privacy la chiamiamo Laura, ha 26 anni ed è stata condannata per diffamazione ai sensi dell’art. 595, 3 comma codice penale, che recita:
Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516″.

Il punto è che l’offesa è avvenuta a mezzo Facebook che è stata ritenuta correttamente dal Giudice di Livorno “altro mezzo di pubblicità” come recita l’articolo 595 c.p. e NON A MEZZO STAMPA, come si legge erroneamente in altre testate.
Ma analizziamo i fatti. La colpa di Laura consiste nell’aver scritto frasi offensive mediante Facebook al suo datore di lavoro, un albanese.
Tale condanna seppure non parifichi Facebook alla stampa, può essere considerata un pericoloso precedente in materia di social network.
In seguito al licenziamento Laura si era lamentata del suo datore di lavoro mediante Facebook, con tre episodi offensivi, scritti nella sua bacheca.
causa di questi post offensivi il datore di lavoro ha sporto querela dando origine ad una inchiesta che ha portato Laura ad essere iscritta nel registro degli indagati, per il reato 595 terzo comma del codicepenale cioè la diffamazione con altri mezzi pubblicitari.
Secondo l’avvocato del querelante «Deve essere evidenziato l’orientamento che si va formando in giurisprudenza, il Tribunale di Monza in una delle prime pronunce in tema di risarcimento per danni illeciti compiuti sui social network ha stabilito un risarcimento pari ad euro 15mila in favore di un soggetto risultato vittima di un messaggio diffamatorio tramite Facebook».
L’imputata ha poi scelto il rito abbreviato che, in ogni caso, le ha permesso di avere uno sconto di un terzo sulla pena finale.
Nei giorni scorsi è arrivata la sentenza nella quale il giudice Antonio Pirato ha condannato la donna a una multa di mille euro, al pagamento delle spese processuali e a versare alla vittima tremila euro come risarcimento danni. Ora si attendono le le motivazioni della sentenza, che dovrebbero essere depositate tra sessanta giorni.
Secondo il il G.I.P.(nella decisione del 2012) la fattispecie integra tutti gli elementi del delitto di diffamazione per gli elementi sotto evidenziati:
1) la precisa individuabilità del destinatario delle manifestazioni ingiuriose (nel caso di specie l’ex dipendente ha espressamente fatto riferimento alla azienda nella quale ha lavorato come dipendente);
2) la comunicazione con più persone alla luce del carattere “pubblico” dello spazio virtuale in cui si diffonde la manifestazione del pensiero del partecipante che entra in relazione con un numero potenzialmente indeterminato di partecipanti e quindi la conoscenza da parte di più persone e la possibile sua incontrollata diffusione;
3) la coscienza e volontà di usare espressioni oggettivamente idonee a recare offesa al decoro, onore e reputazione del soggetto passivo.
Queste corrette considerazioni – giova precisare . non parlano di stampa ma semplicemente di capacità maggiormente offensiva della diffamazione perchè i messaggi sono potenzialmente accessibili da chiunque.
Si consideri poi che secondo la Cass. Civ., Sez. III, 10/05/2011, n. 10214 “perché possa parlarsi di stampa in senso giuridico, ai sensi della legge n. 47/48, occorrono due condizioni:
a) che vi sia una riproduzione tipografica;
b) che il prodotto di tale attività (quella tipografica) sia destinato alla pubblicazione attraverso un’effettiva distribuzione tra il pubblico.
Le pubblicazioni on line difettano di entrambi i requisiti, in quanto non consistono in molteplici riproduzioni su supporti fisici e la loro visualizzazione avviene attraverso i terminali della rete. Ne deriva l’inapplicabilità della responsabilità ex art. 57 c.p. al direttore delle riviste on line sia perché queste ultime non rientrano nel concetto di stampa periodica sia perché essendo oggettivamente impossibile rispettare il precetto normativo del controllo sulla pubblicazione, si finirebbe per ascrivere una responsabilità penale a titolo oggettivo, vietata dalla Costituzione.
Detto questo credo che prima di sostenere che Facebook e gli altri social siano equiparabili alla Stampa occorrerebbe approfondire meglio.